Monastero di Santa Caterina – dalla clausura al trionfo –

Oltre la famosa – a ben ragione – Piazza Pretoria, m’aspettava una doppia scalinata per accedere al Monastero Santa Caterina d’Alessandria.

Quando all’ingresso mi chiederanno cosa voler visitare, risponderò senza alcun tentennamento: chiesa, terrazze, chiostro e monastero – con annessa “dolceria” –.

Da quel momento diverrò piccolo piccolo, non si tratterrà solo di ingresso a un luogo sacro, ma sarà viaggio avvolto nelle atmosfere di tempi indefiniti; un percorso emozionante nelle vite delle monache di clausura che qui hanno vissuto fino al 2014, che sentirò sussurrarmi di gioie e disperazione, di privilegi e rinunce.

Entrato in chiesa sarò preso da un attimo di smarrimento… mi aggroviglierò in un paio di giri su me stesso per la quantità di statue, affreschi, decorazioni, stucchi e marmi tale da non riuscire a raccapezzarmi sul dove soffermare prima lo sguardo; ci vorranno diversi minuti prima di mettere a fuoco solo alcuni dei dettagli intorno a me. Un trionfo! Dal pavimento fino al soffitto sarà un vero trionfo barocco senza soluzione di continuità; e poi ancora un tripudio di angeli, santi e beate, un altare in pietre d’agata luccicante di rame dorato e sei cappelle – tre per lato –.

Questo luogo non poteva che essere dedicato alla figlia di un re, a Santa Caterina d’Alessandria, iconograficamente rappresentata proprio con il simbolo regale della corona.

Non scorderò di avvicinarmi ai meravigliosi “pannelli” di marmo con sculture sovrapposte che sembreranno voler venir fuori dalla parete stessa. Il più sorprendente per fattura e materiali utilizzati richiamerà la vicenda biblica di “Giona” gettato nel mare in tempesta e ingoiato da un grande pesce. Come per lui – anche per me – sarà vano il tentativo di evitare una città: anch’io verrò inghiottito da una forza misteriosa che mi riporterà all’origine di tutto, a Palermo, compiendo ciò che era inevitabile e già deciso dal volere divino.

In un altro riquadro di marmo prende forma la rappresentazione dell’angelo di Dio che blocca la mano di Abramo, che nel compimento di un’estrema prova di fede è disposto a sacrificare persino il figlio Isacco.

Ci vorrebbero giornate intere, forse settimane, per cogliere tutti i particolari di questa chiesa, ma dovrò lasciarla presto per andare oltre alla ruota di collegamento e alla porta che da sempre segnano il passaggio tra due mondi. Continuando il mio percorso di sorprendente scoperta, dalla luce si passerà presto alle ombre… questo mi dirà l’accesso all’antico monastero delle monache di clausura. Sedute su piccoli sgabelli dalle gambe diseguali – che costringono a una postura composta –, la loro sarà una realtà osservata attraverso le grate delle letterine e da piccoli spiragli; da lì sarà impossibile avere una visione d’insieme dell’oltre e solo fede e preghiera allieveranno questa limitazione. Ambizioni, pensieri, sogni e tormenti delle monache di clausura resteranno chiusi qui per secoli, così come le bambole di ceramica e i “bambinelli” di cera ancora oggi racchiusi in scatole di vetro e legno.  Ma dopo la notte verrà il giorno e la luce, non solo per le monache ma anche per noi, che oggi andiamo a visitare questo luogo: questo rappresenterà l’arrivo al delizioso chiostro. Su di esso si faranno notare dei terrazzini delle celle delle suore più fortunate, che potevano godere di un privilegiato affaccio sul chiostro. Esso non si presenterà come un luogo particolarmente sontuoso, ma lo diverrà per una particolarità che lo anticipa difficilmente ritrovabile altrove: la Dolceria “I Segreti del Chiostro”! Le antiche ricette della pasticceria conventuale tornano vive, divengono un esercizio di memoria e un progetto di valorizzazione di antiche tradizioni, per non disperdere nel tempo un patrimonio che da immateriale diviene materiale nel momento stesso in cui si assaggia un dolce. L’atmosfera è ancora quella in cui in passato operavano laboriose le monache di clausura. Oggi si possono ritrovare biscotti tradizionali come la Maria Stuarda o le Reginelle, generosi cannoli fatti a regola d’arte, torte e buccellati, paste ripiene, frutta Martorana, minne di virgini, cassatelle fritte, cassate variegate – quelle “moderne” ricche di decorazioni, le antiche o le semplici fatte al forno –, e ancora molto altro. E poi c’è Lui, quello che potrebbe rappresentare il massimo grado di arricriamento possibile persino per gli occhi: il Trionfo di Gola! Un capolavoro che a prima vista intimorisce persino la coscienza – immaginando la quantità di zuccheri che potrebbe contenere – e che, invece, esprimerà complessità ed equilibrio inaspettati. Il mio occhio indiscreto andrà a cercare i visi e le espressioni dei visitatori seduti sulle panchine del Chiostro, intenti ad assaggiare questi capolavori del gusto… e anche quello sarà di trionfale appagamento. Vedrò poi persone solitarie, che sembreranno non volere distrazione alcuna dalla degustazione di un cannolo alla ricotta di fattura e dimensioni importanti. L’espressione finale sarà quella che potrei racchiudere semplicemente in questa esclamazione siciliana: ahah, mi scialai!

Dopo questa gratificante esperienza solo una cosa potrà spingermi a proseguire il mio percorso: dall’assaggio dei dolci a toccare il cielo con un dito il passaggio sarà breve. Mi ritroverò nelle terrazze del Monastero ad ammirare dall’alto tutta la città, fino a sfiorare il mare. Campanili e cupole saranno dappertutto a perdita d’occhio; da qui svaniranno tutte le preoccupazioni della vita… da qui, dietro le onnipresenti grate, anche le monache avranno compiuto lontani viaggi immaginari.

Il percorso di scoperta della Chiesa e Monastero di Santa Caterina avrebbe meritato molto più tempo, mi sorprenderà la quantità di stati d’animo questo luogo unico può evocare. Con dispiacere – d’animo e di gola – dovrò andare via, il mio cammino nelle meraviglie di Palermo deve continuare, e lo farò in un continuo trionfo d’emozioni…

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