Alla scoperta di un Baglio siciliano

Tornando da Porto Palo di Capo Passero, superata la magnifica spiaggia di San Lorenzo, ancora oltre la riserva di Vendicari e l’attraente ma meno conosciuta Eloro, arrivavo nella più “turistica” ma sempre affascinante marina di Noto. Poco più avanti, proprio all’ingresso di una piccola straduzza in terra battuta ai margini di una vecchia stazione abbandonata, m’incuriosiva una grande insegna con scritto “Baglio Siciliamo”. Una volta sul posto, un pensiero alquanto strano e inaspettato sorgerà in me: se nel suo peregrinare Van Gogh avesse intrapreso il percorso appena descritto, cosa ne avrebbe potuto percepire e ricreare su tela? Chissà poi cosa avrebbe potuto scriverne nelle appassionate lettere spedite all’amato fratello Theo. Sono certo che “assaporando” queste atmosfere siciliane – così diverse dai paesaggi a lui noti – avrebbe provato vitalità ed entusiasmo, trovando ispirazione da ogni fiore e colore, da ogni intenso riflesso di luce e scorcio di vita, e poi ancora – allontanandosi dal mare – anche da quello che Goethe definì nel suo viaggio in Sicilia come un “deserto di fertilità”.

Dopo qualche ora di assestamento, al Baglio Siciliamo ho desiderato essere corteccia e pietra, ciuri e fico d’india, erba rampicante e melograno, bisolo e antico pozzo fonte d’acqua fresca… Ma soprattutto ho desiderato essere me stesso.

Sfidando il fresco ottobrino ho provato “l’ebbrezza” di una cena all’aperto nella poetica corte. Senza dubbi e remore inizio con un giro d’antipastini con sapori di Sicilia di “terra” una volta e deliziosi assaggi di “mare” un’altra, tris di arancini caldi, spaghetti con sarde e muddica, e via dicendo così per due sere fino al completo appagamento fisico e mentale. A seguire saranno notti di canto di cicale e di profumi, di silenzio e fiochi lumi.

Una mattina, dopo un’abbondante colazione gradita anche da amichevoli api, un uomo solo a un tavolo mi ricordava ancora una volta il peregrinare di Van Gogh. L’uomo solo osserva sereno ciò che lo circonda, poi involontariamente sofferma lo sguardo su una ragazza dalla bellezza sicula; la ragazza ha occhi siciliani che catturano subito l’attenzione, sono quegli occhi riconoscibili fra tutti che il controverso Sebastiano Aglianò ha così ben descritto: “occhi fermi e seducenti, ma come velati da una malinconica apatia: quel colore suggestivo, vario di iridescenze e di toni opachi, che ti lascia subito distinguere il “tipo” anche fra le cime delle Alpi o in mezzo alla vita turbinosa di una città moderna”.

Penso che anche Vincent sarebbe rimasto affascinato da quel momento particolare, così mi chiedo nuovamente come avrebbe rappresentato le api ubriache in ciotole di “miele”, e come quei particolari occhi “siciliani”. Forse persino lui in questo luogo avrebbe potuto trovare quella pace e comprensione cercata invano per tutta la sua breve vita.

Tra riflessioni, certezze e dubbi ancora una volta il mio tempo è scaduto… non mi resta che lasciare i miei strani pensieri all’interno di quella dolce corte del Baglio Siciliamo. Ripercorro per l’ultima volta il viale d’agrumi; poi riprendo la straduzza sterrata – quella che costeggia la vecchia stazione abbandonata –.

Ah caro Vincent, se tu sapessi quanto sia beffardo anche il destino mio: per l’ennesima volta mi costringe ad intraprendere la via dell’allontanamento dalla felicità. Prima di riprendere la strada principale ho un attimo di tentennamento: sono consapevole che lasciato quel sentiero profumato, abbandonato anche quell’angolo di Sicilia incantato, avrei ripreso la via per quel mondo che avrei avvertito sempre freneticamente incerto e ingiusto. Allora non resterà che tenermi addosso il più possibile quella sensazione di piacer di vivere la vita in un’altra dimensione, provato per qualche giorno, ancora una volta nella mia Isola, in un baglio siciliano nascosto tra riserve naturali e spiagge, città barocche e resti di civiltà antiche…

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